Francesco Sodano – Il Faro di Capo d’Orso, Maiori (Sa)

Francesco Sodano è un altro giovane “favoloso”. Nonostante sia molto giovane è Chef Executive del Faro di Capo d’Orso a Maiori. Ho avuto una bella chiacchierata con lui, incontrandolo in una diretta su Instagram, ed è stato come se fossimo amici di vecchia data. Ci siamo conosciuti tramite internet, presentati da alcuni amici cuochi che mi hanno parlato benissimo di lui. E’ un ragazzo umile oltre che uno Chef in gamba e sono sicuro che di strada ne farà tanta!

In The Food For Love

Gamberi marinati, gel di frutto della passione, caviale di aringa, panna acida.

Francesco partiamo subito con una bella presentazione; chi sei, quali sono le tue ispirazioni e dove ti sei formato?
Partiamo subito con un concetto, non sono ancora nessuno, ho ancora tanta voglia di esprimermi e di fare bene il mio lavoro. Provengo da una famiglia di cuochi: i miei genitori sono entrambi professori di cucina all’alberghiero. Mia madre è esperta di eventi e si occupa di associazionismo, mio padre invece lavora anche in cucina.
La mia prima esperienza dietro i fornelli l’ho avuta proprio con lui al San Felice al Circeo a Terracina. Poi ho lavorato nella banchettistica, per mettere da parte un po’ di soldi nel periodo estivo, lavorando al fianco di alcuni chef affermati della Campania.

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Finanziera al mare – Triglia alla finanziera, il suo fondo, slices di cuore, peverada, salsa al levistico, basilico e prezzemolo.

Sono sempre stato appassionato di cucina e subito ho avuto la mia prima vera esperienza lavorativa proprio al Faro di Capo D’Orso. All’epoca l’executive chef era Pierfranco Ferrara, tutt’ora socio della società. Poi, mi sono formato professionalmente lavorando per due anni al Pagliaccio di Anthony Genovese e circa altri due da Oliver Glowig. Dopodichè ho fatto altre significative esperienze in Inghilterra. Sono stato sous chef in un ristorante stellato, il Galvin at Windows al 28 piano della torre dell’Hilton di Londra, dove ho imparato a gestire dei numeri molto importanti: circa 250 coperti a pranzo e 200 a cena. Eravamo 60 cuochi nelle cucine. A Londra il pranzo è molto complesso inizia alle 12 e finisce alle 14.30, ma il ristorante non chiude a quell’ora; se arriva un cliente, viene fatto accomodare e il servizio finisce alle 17.30. Alle 18.30 riapre la sala per la cena. Lì c’era una brigata interamente dedicata alle preparazioni poiché viceversa in un’ora non si sarebbe riuscito materialmente a creare nuovamente la linea per la sera. E’ stata un’esperienza forte e significativa, avevo 14 persone che lavoravano sotto di me e gestivo gli antipasti.

In THe Food for love

Triglia dry-aged, chips di squame, emulsione di tamarindo, fondo di triglia e midollo di vitello affumicato.

Poi mi sono trasferito a Los Angeles e ho lavorato Nikita di Malibu, lavorando insieme a mio fratello Salvatore che era l’executive. Dopo questa esperienza ho lavorato in un club privato di nuovo a Londra l’“Annabells” dove lo chef executive era lo stesso del Gordon Ramsey.
Rientrato in Italia ho gestito delle consulenze, tra cui una ancora attiva con il ristorante “Casa a Tre pizzi” a Napoli alla Mergellina.
Infine sono di nuovo approdato al Faro di Capo d’Orso con la Famiglia Ferrara. Ho iniziato questa bellissima avventura carico delle tante esperienze fatte all’estero e finalmente riesco ad esprimermi al cento per cento avendo la possibilità di portare avanti la mia idea di cucina. Mi ispiro alla tradizione e la interpreto a modo mio, partendo dalle mie radici. La mia è una cucina moderna che usa tecniche avanguardistiche partendo sempre dalla tradizione.

Francesco Sodano

Risotto con burro affumicato, cenere d’alghe e anguilla in teriyaki.

Viaggiare ti apre la mente e tu hai viaggiato molto…
Esatto! Ho una grossa fortuna lavorando qui al Faro, il mio impegno è stagionale quindi durante il periodo di chiusura viaggio molto. In un mondo dove la concorrenza è enorme e con tanti geni in giro, la differenza la fa il viaggio e la sperimentazione. Ad esempio con mio fratello e due colleghi recentemente abbiamo viaggiato in Spagna dove abbiamo visitato tre ristoranti 3 stelle Michelin. Poi io e mio fratello  siamo rimasti in Spagna e ci siamo fatti uno stage da Angel Leon chef tristellato.

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Sfoglie di pasta al miso e la sua acqua, sashimi di scorfano marinato, gel di peperoncini verdi, sconcigli.

Lo Chef Leon è soprannominato “il re del mare” e siccome anche noi siamo arroccati sul mare sono andato a confrontarmi e perfezionare le mie tecniche e lavorazioni di cucina.  Il mio concetto di valorizzare il territorio è comunque sempre quello di utilizzare materie prime locali.  Il nostro ristorante si trova a strapiombo sul mare ma effettivamente è anche in montagna quindi non è difficile trovare carni e selvaggine locali, anche se siamo principalmente un ristorante di mare.

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Gnocco cacio e pepe, ricci di mare emulsione di cozze e cipollotto arrosto e foglie di nasturzio.

La tua cucina quindi è la sintesi di una ricerca costante delle eccellenze del territorio e dal tuo background di viaggiatore. Mi sembra di capire che c’è un altro importante elemento: l’amore incondizionato verso la cucina.
Voglio lanciarti una provocazione: pensi sia giunto il momento, soprattutto dopo questa pandemia, che i cuochi ritornino dietro i fornelli?

Mi considero una persona davvero fortunata. Io non ho mai lavorato per una grande azienda, nel senso che non ho mai lavorato per grandi gruppi con una visione aziendalistica del ristorante.
Mi sono formato al fianco di Chef che erano i proprietari del loro ristorante.
Mi hanno insegnato che non esiste un cuoco che lascia la sua cucina e che non sta dietro ai fornelli. Con Anthony Genovese ad esempio io facevo la sezione insieme a lui. Lo Chef la sera pretendeva di lavarsi il bancone dove aveva lavorato! Sono cresciuto con questi valori, con questa mentalità. Non mi trovi d’accordo sugli Chef “superstar” che abbandonano le cucine e vanno in televisione!

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Risotto pecorino fave e animelle di agnello.

I media purtroppo stanno dando un’idea sbagliata di questa professione. Gli Chef sono ovunque in tv: boom di iscrizioni all’alberghiero.
Ma fare lo Chef è un lavoro duro e molto faticoso che ti occupa l’intera giornata…

Guarda i miei genitori, sono docenti di alberghiero come ti ho già detto. Mio padre è nel settore da trentacinque anni e mi dice sempre che circa un settanta percento dei ragazzi iscritti a quella scuola, non faranno questo mestiere nella vita! E tanti altri ragazzi che scelgono questo mestiere come una via facile per avere soldi e successo, restano profondamente delusi.

Francesco Sodano

Raviolo di robiola di capra, asparago fresco e fermentato e sgombro e caviale di aringa.

Quali sono i libri che hanno influenzato il tuo pensiero culinario?

Un libro che mi ha sicuramente condizionato è il Modernist Cuisine, una vera “Bibbia” della cucina. Penso che gli Chef che maggiormente hanno condizionato la cucina moderna sono Ferran e Albert Adrià e loro hanno contribuito alla realizzazione di questo volume. Un altro libro al quale sono legato è il Modernist bread. Ho una grande passione per il pane e i lievitati e in questi libri vengono forniti spunti e ispirazioni notevoli.  Il terzo libro che mi viene in mente è il “Noma Ferment” di Rene Redzepi. E’ un libro che ha dato una svolta al mondo delle fermentazioni culinarie. Ha promosso la cucina nordica avanguardistica alla quale io mi ispiro.

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Petto di Piccione frollato in cera d’api, crema di olio di oliva, cacao amaro, estratto di mandorle e composta di nespole fermentate e jus di piccione.

 Sono sicuramente a favore delle fermentazioni e alle moderne tecniche di cucina, ma molto spesso si fa un uso improprio e decontestualizzato: che io usi un pomodoro fermentato in Campania non ha assolutamente senso! Con le meravigliose materie prime che abbiamo in Italia, perché applicare le fermentazioni? Io le uso solo perché avendo un locale stagionale e amando in particolar modo radici e prodotti reperibili solo d’inverno, con queste tecniche, riesco ad utilizzare queste verdure durante il periodo di apertura del mio locale. Ma uno Chef che ha un ristorante aperto tutto l’anno e che può sfruttare la biodiversità e la stagionalità che bisogno ha di utilizzare tutte queste tecniche?

Francesco Sodano

Camouflage di totano di Capo d’Orso.

Il faro di Capo D’Orso è chiuso per questa pandemia, avete previsto come e quando ripartire e che scenario si prospetta per il settore alberghiero?
La nostra riapertura sarà immediata non appena ci daranno il permesso di farlo. Per quanto riguarda il nostro ristorante non avremo problemi di assembramenti dato che abbiamo una sala molto grande dove i nostri 28 – 30 coperti rispettano sempre le distanze di sicurezza. Non sarà facile per chi lavora in questo settore, ma io sono in contrapposizione a chi dice che dobbiamo tornare alla tradizione e alla cucina semplice. Penso che questo sia il momento giusto per alzare l’asticella! In questi due mesi tante persone si sono dedicate alla cucina e si sono avvicinate ad idratazioni lievitazioni e via discorrendo. Quando tutto questo sarò finito le persone avranno un fisiologico bisogno di mangiare cose nuove e particolari. Finalmente abbiamo la possibilità di avvicinare le persone a questo tipo di cucina e di far capire che dietro ogni piatto c’è un pensiero, un concetto, una filosofia gastronomica. I veri eroi non siamo noi cuochi, ma sono i nostri fornitori: i contadini, i pescatori e i casari.

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La sala del ristorante il Faro di Capo d’Orso

Il Faro di Capo D’Orso
Strada Statale Amalfitana 44, 84010 Maiori (Sa)
Tel. +39 089 877022
 info@ilfarodicapodorso.it
www.ilfarodicapodorso.it

   Instagram

In cucina chef executive Francesco Sodano, in sala Bonny Ferrara.